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La tecnologia a riduzione (o deplezione) di ossigeno già utilizzata efficacemente da molti anni nel settore della conservazione ortofrutticola, che permette di conservare prodotti ortofrutticoli in maniera completamente naturale, preservandone tutte le caratteristiche organolettiche, trova oggi nuove applicazioni anche nel settore della prevenzione incendi in quanto è in grado di prevenire l’innesco della combustione erogando miscele di gas inerte e controllando in maniera continuativa l’ambiente.

 

Ne parliamo più approfonditamente con il direttore tecnico di Mozzanica, Mario Mignacca.

 

Sig. Mignacca, quali sono le origini della tecnologia per la riduzione d’ossigeno e come si è sviluppata per scopi di prevenzione incendio?

Gli impianti di riduzione di ossigeno derivano dall’atmosfera controllata soprattutto per conservazione degli alimenti. Fruit Control, partner tecnologico Mozzanica, che ha un'esperienza di 30 anni in questo settore, prende le mosse dalle ricerche dell’ingegner Bonomi, un luminare in quest'ambito, che dal 1954 ha cominciato a costruire i primi impianti per la modifica dell'atmosfera per la conservazione ortofrutticola.
Quando si parla di atmosfera controllata si intende il controllo della concentrazione di diversi gas (anidride carbonica, ossigeno, azoto, etilene); un sistema completo che permette di gestire il metabolismo di tutti i generi deperibili che possono vedere prolungata il proprio periodo di conservazione.
La riduzione di ossigeno per scopi di prevenzione incendi si è sviluppata quasi come una prevenzione dell'ossidazione lavorando sulle soglie di innesco in funzione del materiale protetto.

 

In cosa consiste la riduzione di ossigeno ai fini della prevenzione di incendi?

Le nuove tecnologie a riduzione di ossigeno prevedono degli impianti che tecnicamente non si configurano molto diversamente da quelli della riduzione di ossigeno in atmosfera controllata per scopi di conservazione.
Innanzitutto serve un contenitore stagno perché, se vogliamo modificare l'atmosfera, è necessario poter disporre di uno spazio limitato nel quale modificare le concentrazioni dei gas rispetto all'atmosfera normale che c'è all'esterno e quindi serve un involucro; in questo caso sarà lo spazio da proteggere.
In secondo luogo serve una macchina in grado di ridurre la concentrazione di ossigeno; normalmente si utilizzano dei generatori di azoto. Disponendo di un ambiente chiuso con aria a concentrazione normale - azoto al 78% e ossigeno al 20,8% - se si inizia ad immettere azoto e si estrae l’aria, si formerà una miscela in cui la concentrazione di gas inerte cresce progressivamente.
Il terzo punto fondamentale è un sistema di analisi e di controllo per monitorare le concentrazioni ed immettere dove serve e quando serve l’azoto.

 

I sistemi a riduzione di ossigeno funzionano saturando i locali protetti con dell’azoto prodotto in loco; quali sono i principi su cui si basano le tecnologie per produrlo?

Le tecnologie che permettono di produrre azoto si basano sulla scomposizione atmosferica dell'aria che respiriamo che è composta principalmente da azoto al 78% e dal 20,8% da ossigeno.
Con sistemi che permettono la scomposizione molecolare dell'aria in azoto e ossigeno è possibile concentrare questi due elementi. Le tecnologie si dividono in separazione a membrana o separazione di tipo PSA (Pressure Swing Adsorption).
La tecnologia a membrana consiste in un vero e proprio setaccio molecolare: l'aria compressa viene inserita nel setaccio capillare e soltanto le molecole di ossigeno, più piccole di quelle di azoto, riescono a passare. L'azoto, di dimensioni più grandi, viene forzato altrove, immagazzinato in un tank e poi utilizzato per inertizzare l’ambiente; l'ossigeno, in questo caso viene considerato come scarto e quindi liberato in atmosfera. Anche la tecnologia PSA si basa sulla separazione atmosferica per dimensione molecolare, in questo caso però l’ossigeno è forzato ad entrare nei pori di carboni attivi; tali pori sono della dimensione approssimativa delle molecole di ossigeno. Anche in questo caso, l'azoto non può essere segregato dai carboni attivi e passa oltre.

La tecnologia a membrane è una tecnologia di produzione continua mentre la tecnologia PSA utilizza due fasi: la fase di produzione e la fase di rigenerazione, in quanto il numero di pori è limitato; quindi, quando tutti i carboni attivi - che hanno la forma di piccoli pellet - sono “saturi” di ossigeno si passa alla fase di rigenerazione. Per questo un sistema PSA è composto di due bancate, una in funzione mentre l’altra rigenera; con degli scambiatori si riesce a garantire un flusso continuo dell’azoto.

 

Nelle applicazioni di riduzione di ossigeno per l'antincendio quali tecnologie di produzione di azoto si impiegano?

Nelle applicazioni di riduzione di ossigeno per la separazione dei gas che compongono l’atmosfera si utilizzano sia le tecnologie a membrana che quelle PSA. Per applicazioni più contenute, dove c’è la necessità di avere una portata minore, si tende a utilizzare un sistema a membrane, perché è più semplice costruttivamente, più economico, con minori oneri di manutenzione. Il sistema PSA, più raffinato, permette un miglior equilibrio e vantaggio economico perché utilizza, a parità di portata, una quantità di energia elettrica minore lavorando a pressioni più basse dove è già molto efficiente. Si utilizza quando si hanno impianti più grandi, con portate consistenti.

 

Nella progettazione o modifica dell'involucro edilizio quando si installa un sistema a riduzione di ossigeno, la tenuta ai gas è un fattore cruciale. Da quali fattori dipende?

Curare tutti gli aspetti di tenuta ai gas non è facile soprattutto perché si lavora spesso in ambienti che non sono stati pensati per raggiungere degli obiettivi di mantenimento di concentrazioni diverse da quelle atmosferiche. Bisogna fare molta attenzione a tutte le aperture, a tutti i dettagli: pavimenti, giunzioni dei pannelli, la muratura, le aperture, le finestre e tutti i componenti architettonici.
Normalmente si fa una Blower Test, mettendo l’ambiente in pressione con un ventilatore che immette aria e cercando di mantenere in sovrappressione la struttura. E’ una di quelle prove che vengono fatte anche per valutare l'efficienza energetica degli edifici anche se in questo caso è più stringente proprio perché non si tratta di dispersione del calore ma di gas, più facile da ottenere e più critica perché può invalidare lo scopo di progetto.
Risulta quindi molto importante curare la sigillatura di tutti gli elementi della struttura, in particolare nell’involucro edilizio in cui sono presenti pannelli sandwich: è importante controllare le giunzioni tra pannello e pannello, giunzione pannello-pavimento; qualsiasi foro, anche minimo, che viene fatto nell'involucro va sigillato. Da non sottovalutare sono anche tutti gli ingressi e le uscite. Ad esempio nel caso di un magazzino intensivo vanno gestite le baie di carico di ingresso e uscita materiali; bisogna attuare delle strategie per far sì che da queste uscite che, normalmente vengono aperte e chiude con diversi cicli/ora, non si perda troppo azoto.
Un involucro costituito con pannelli sandwich come quelli di un grande magazzino intensivo, per certi versi, può essere più semplice da rendere stagno all'aria; una struttura tradizionale in mattoni, con l'apertura delle porte e delle finestre può essere più delicata.

Continua...

 

 

Mario Mignacca

Direttore Tecnico Mozzanica

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