Un processo sempre più diffuso tra le imprese italiane, principalmente tra quelle manifatturiere. Poca spinta all'estero, invece, tra le aziende che producono servizi.
Secondo la “Storia dell'internazionalizzazione dell'Italia dall'unità a oggi” pubblicato da Istat, che ricostruisce il processo di internazionalizzazione dell'economia italiana attraverso i dati dell'export, il percorso delle aziende italiane verso i mercato esteri è stato lungo, complesso e con diverse battute d'arresto più o meno concomitanti a eventi storici di vasta portata, come la Grande Depressione del 1929, i due conflitti mondiali e, più recentemente, la crisi 2008-2014 e la pandemia.
Diamo qualche indicazione di massima: all'alba dell'unità d'Italia le economie erano prevalentemente agricole, così ciò che si esportava negli anni Sessanta dell'800 erano pochi prodotti di origine agricola (come la seta).
Ci sono voluti decenni perché si sviluppassero i primi settori che hanno trainato lo sviluppo e che ancora oggi sono rilevanti nel quadro del PIL nazionale e della bilancia import/export, ossia l'abbigliamento, il settore chimico, l'automotive.
Da fine 800 circa al 1913 l’export italiano crebbe con un tasso medio annuo del 4%, e si assistette al progressivo aumento del ruolo della Germania quale partner commerciale, nonché allo sviluppo del commercio transatlantico, un trend che dopo la Prima Guerra Mondiale salì al 6,4% per arrestarsi dal 1929 alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
L'Italia del secondo dopoguerra riparte con i settori manifatturieri già conosciuti, come il tessile, l'abbigliamento e l'automobile.
Aziende come Fiat, Pirelli e Benetton furono tra le prime ad espandere massicciamente le proprie operazioni oltre i confini nazionali, seguite dalla maggioranza delle imprese durante il boom degli Anni 60 e 70, che videro, tra l'altro, nuovi settori emergere per importanza quali quelli dell'ingegneria, dell'elettronica e dell'industria alimentare, della componentistica automotive e della produzione di macchinari industriali, degli apparecchi elettrici e per telecomunicazioni, e lo sviluppo della meccanica di precisione.
Negli stessi anni si afferma il settore del calzaturificio, della produzione di materie plastiche e di prodotti farmaceutici nell’ambito della chimica, nonché il consolidamento di un ruolo di industria di trasformazione nella filiera del petrolio.
Negli Anni 80 e 90, spinte dalla prima fase della globalizzazione, salgono alla ribalta internazionale aziende come Ferrero nel settore alimentare, Luxottica nel settore degli occhiali e Giorgio Armani nella moda, simboli questi ultimi di una deriva del settore dell'abbigliamento verso una produzione luxury.
Dopo il ventennio 2000-2020, in gran parte interessato dalla cosiddetta Grande recessione (2008-2014) che ha segnato una battuta d'arresto nel processo di internazionalizzazione, oggi settori emergenti come le nuove tecnologie, le energie sostenibili e il design stanno guidando una nuova ondata di espansione internazionale.
Nel triennio 2017-2019 il valore delle esportazioni di beni e servizi in Italia equivaleva a più del 30% del Prodotto Interno Lordo, piazzando l’Italia nella graduatoria export prodotti seconda solo alla Germania, mentre per l'export di servizi, è la meno internazionalizzata tra le nazioni dell’Unione.
Dopo la pandemia lo scenario resta sostanzialmente invariato, con macchinari, metalmeccanica, chimica di base e i comparti di gomma e materie plastiche, insieme a quello dei prodotti della lavorazione dei minerali non metalliferi (vetro, materiali da costruzione, piastrelle) che trainano l'export nazionale insieme a quello dei mobili e dei prodotti di arredo di design.
Perdono invece rilievo il settore agroalimentare e, seguendo il prezzo dell’energia, quello della raffinazione.
Volendo guardare a come sono presenti all'estero le aziende italiane, il quadro che emerge dall'ultimo “Rapporto Indagine Internazionalizzazione 2023” redatto da Confindustria Lombardia e Assolombarda vede molte di esse presenti all'estero in termini di esportazioni (96%), ma non con una presenza diretta (solo il 9% possiede una propria filiale diretta e solo il 7% degli stabilimenti produttivi).
Anche a livello di mercati coperti, quelli europei continuano a confermarsi i preferiti, con Francia (53%) e Germania (52%) tra i primi cinque in ordine di importanza, seguiti dalla Spagna (33%).
Tra i primi dieci sono inoltre presenti nodi logistici, come Paesi Bassi e Belgio, segnale di un rafforzamento delle connessioni delle imprese con l’Europa e il resto del mondo.
Le aziende che optano per una presenza diretta all’estero attraverso filiali commerciali preferiscono aprirle negli Stati Uniti, in Germania e in Francia, mentre quelle produttive vengono localizzate soprattutto in Cina, Stati Uniti e Germania.
Ma si sta delineando comunque la nuova tendenza a guardare a mercati geograficamente più distanti, non solo per il futuro imminente (tra cui India, Emirati Arabi Uniti e Brasile in primis), ma anche in prospettiva, con Australia e Canada in prima fila.
L’analisi ha rilevato una tendenza delle imprese a concentrare geograficamente le esportazioni, con una quota di fatturato generato all’estero prodotta nel principale mercato di destinazione pari al 25,7% nel 2022, mentre la quota di fatturato realizzata all’estero è stata in media pari al 44,2%.
In questo scenario di mercato mondiale soggetto a repentini cambiamenti e a fluttuazioni che la Mozzanica&Mozzanica quasi dieci anni fa ha voluto fare le sue scelte per aprirsi anche lei al mercato estero.
Ma come fatto a inizi attività nel 1987, per prima cosa decise di mettere in campo il settore con cui è nata, quello del service di manutenzione. Infatti, rispetto al mercato italiano, il Cliente estero, in particolare statunitense, ricercava ancora un Fornitore con cui legarsi non solo per una questione di prezzo, ma soprattutto per fiducia. Il Fornitore doveva essere in grado di risolvere le sue problematiche, gestire i suoi imprevisti, trovare soluzioni affinché lui potesse proseguire la sua attività in tranquillità.
E qui entra in gioco ciò che è la caratteristica delle Aziende Italiane, ovvero, essere in grado di gestire con molta capacità le diverse situazioni che si presentano.
La Mozzanica non fece eccezione e anzi, fu questo suo modo di fare, mettendo in gioco persone, conoscenza ingegneristica, mezzi e una scorta sempre presente di parti di ricambio, che iniziò sempre di più a farsi strada, unendo al service di manutenzione anche la parte consulenziale, oltre che la progettazione e costruzione di turn-key systems.
Nel 2015 aprì la sua prima Sede negli USA, che passò poi tre processi di ingrandimento, mentre nel 2023 fu inaugurata la sua rete mondiale con Service Point localizzati a Los Angeles, Dubai, Singapore e Sydney.
È parere nostro che l’imprenditoria italiana sia un’imprenditoria di eccellenza e troppe volte offuscata dalle notizie o caratteristiche negative del nostro Paese.
L’Italiano dovrebbe prendere più coscienza delle proprie capacità e portarle avanti con orgoglio!